domenica 23 gennaio 2011

Tommaso Moro

L'Utopia




L'opera più famosa di Moro è L'Utopia (Utopia, 1516 circa), in cui descrive un'immaginaria isola-regno abitata da una società ideale. Moro derivò il termine dal greco antico con un gioco di parole fra ou-topos (cioè non-luogo) ed eu-topos (luogo felice); utopia è quindi, letteralmente un "luogo felice inesistente".
L'Utopia si divide in due libri: città reale e città perfetta.

Città reale

Viene fatta un'analisi critica sulla situazione politica ed economica dell'Inghilterra dell'epoca. In particolare Moro ritiene assurda e illegittima la sanzione di pena capitale per il furto. Va dato atto a Moro che la pena di morte non fece altro che aumentare i furti e gli omicidi.
Ci sono due possibilità per risolvere questo problema:
  • tornare alla situazione economica del medioevo (una posizione reazionaria che Moro non condivide)
  • sviluppare un'industria manifatturiera per la produzione di lana in modo da creare un'economia mercantile che possa favorire il benessere sociale nella nazione.
Moro sembra escludere queste ipotesi. Ritenendo che il male dei mali sia la proprietà privata, ne propone l'abolizione, in maniera da ripartire i beni materiali in maniera eguale. Si tratta di un sistema di tipo comunistico.

Città perfetta

Nella seconda parte viene descritta L'Utopia.Nell'isola di Utopia (la forma è simile a quella della Gran Bretagna) secondo Moro, la proprietà privata è vietata per legge e la terra deve invece essere coltivata, a turni di due anni, da ciascun cittadino, nessuno escluso: tutti hanno un lavoro, di 6 ore al giorno; nel tempo libero, tutti i cittadini possono altresì dedicarsi alle proprie passioni e professioni abituali, ma un posto fondamentale è occupato dallo studio delle scienze e della filosofia. La famiglia rappresenta un nucleo fondamentale per l'Utopia: un tipo di famiglia allargata e monogamica. L'uomo si può sposare all'età di 22 anni e la donna a 18 anni. Il divorzio è consentito, l'adulterio è severamente punito: l'individuo che ne è reo viene incarcerato e incatenato con catene e biglie d'oro (l'oro in Utopia non vale nulla, ad esso si ricorre solo per sostenere economicamente eventuali guerre).
Per quanto riguarda la religione, nell'isola di Utopia deve essere prevista la più larga tolleranza religiosa, fermo restando però l'obbligo di credere nella Provvidenza di Dio e nell'immortalità dell'anima. Chi infrange le regole viene scacciato da Utopia. Tutti hanno diritto a una vita pacifica, il cui fine è il benessere.
Gli stessi nomi all'interno della descrizione ricalcano lo spirito utopico dell'isola. La città si chiama Amauroto, dal greco "amauros" che significa evanescente. Allo stesso modo il principe Ademo (dal greco alfa privativo + demos cioè "senza popolo") o il fiume Anidro ovvero "senza acqua".

Francesco Bacone

La nuova Atlantide

La nuova Atlantide è un racconto utopico incompiuto, scritto da Francesco Bacone nel 1626 e pubblicato postumo nel 1627.
Bacone narra di un gruppo di 60 viaggiatori che, partiti dal Perù per andare in Asia, naufragano nell'isola di Bensalem, nei mari del Sud. Il nome stesso dell'isola deriva dall’unione dei nomi di Betlemme e Gerusalemme. Attraverso il racconto in prima persona di uno dei naufraghi, si conosce la cultura e la vita del popolo dell'isola. Cristianizzati grazie ad un'arca contenente una Bibbia inviata direttamente da san Bartolomeo, i bensalemiti vivono in pace fra loro, coltivando la sapienza attraverso i viaggi che alcuni di loro compiono nel mondo civilizzato per carpirne le invenzioni più utili. Sono in grado di parlare più lingue: l'ebraico, il greco, il latino classico, lo spagnolo ma non sembra l'inglese. La famiglia e il matrimonio sono le basi della società di Bensalem.

L'istituzione più importante dell'isola è la Casa di Salomone o Collegio delle Opere dei Sei Giorni, istituita dal legislatore Solamona il quale, probabilmente in onore del re israelita,rinominò con il suo nome la sua fondazione. In un lontano passato l'isola non era isolata come nel momento dell'arrivo dei naufraghi(1612 circa) e ciò caratterizza il mistero attorno a questa popolazione, la quale "conosce molte cose delle nazioni del mondo ma nessuno conosce loro". Nella "House of Solomon" i bensalemiti si dedicano ad esperimenti scientifici realizzati con il metodo baconiano, per controllare la natura e applicare la conoscenza per migliorare la società.




Tommaso Campanella

La città del sole

Testo di grande rilievo filosofico e politico, La città del sole rappresenta la proiezione di un modello di società pacifica e giusta in un luogo immaginario, potremmo dire in un’utopia letteraria, proprio per la evidente frattura tra la realtà storica del tempo e l’esigenza, fortemente sentita in Campanella, di un totale rinnovamento civile e spirituale.

L’opera è scritta sotto forma di dialogo tra due personaggi: l’Ospitalario, cavaliere dell’ordine di Malta, e il Genovese, nocchiero di Colombo. Quest’ultimo racconta di aver girato il mondo scoprendo nell’isola di Taprobana una città ideale per leggi e costumi.
 

La città sorge su un colle ed ha una struttura circolare , formata da sette cerchie di mura concentriche, sette gironi grandissimi di mura, che prendono nome dai sette pianeti. Ogni girone è fortificato, sicchè è pressocchè impossibile conquistarla, in quanto bisognerebbe espugnarla sette volte. Vi si accede attraverso quattro porte rivolte verso i quattro punti cardinali. In cima al colle vi è una grande pianura in mezzo alla quale sorge il tempio del Sole, di forma circolare, e sull’altare che è pure tondo e in croce spartito, è posto un mappamondo. L’organizzazione della città è del tutto razionale, ordinata e rigorosa. La governa un Principe sacerdote chiamato Sole, capo supremo del potere civile e religioso, affiancato da tre «primalità», ossia capi o magistrati: Pon (Potestà), preposto alla guerra e alla pace, Sin (Sapienza) che ha cura delle scienze, e Mor (Amore) al quale è affidata la procreazione, la salute, la produzione, il lavoro e l’educazione degli abitanti. Non esistono beni privati, che indurrebbero all’egoismo e alla sopraffazione. Gli abitanti della città, che si chiamano «Solari», hanno in comune i beni e le donne (secondo il modello di Platone) e tutto è perfettamente ordinato e predisposto dagli «offiziali» i quali vigilano affinché nessuno possa all’altro far torto nella fratellanza. A differenza di Platone, però, Campanella non prevede la divisione in classi, per cui il lavoro è obbligatorio per tutti, e non v’è distinzione tra attività manuali e intellettuali.

I «Solari» affidano alla comunità l’educazione dei figli che è generale e indifferenziata per maschi e femmine.

I piccoli «Solari» imparano giocando, correndo per le vie della città. Tutte le mura sono infatti istoriate, in modo da costituire una vera e propria enciclopedia visiva. Nel primo girone sono rappresentate le figure matematiche, una carta geografica di tutta la terra e le tavole riguardanti ogni provincia con i rispettivi riti, i costumi, le leggi e gli alfabeti delle varie lingue. Nel secondo girone sono raffigurati i minerali, le pietre ed i metalli, i mari, i laghi e i fiumi. Nel terzo, gli alberi, le erbe e le loro virtù medicinali, i pesci e il loro modo di vivere. Nel quarto sono riprodotti le varie specie di uccelli, rettili e insetti. Nel quinto gli altri animali terrestri. Le mura del sesto girone illustrano le arti meccaniche e gli inventori delle leggi, delle scienze e delle armi.


I «Solari» si nutrono di erbe e di carni, alternativamente, secondo precise regole dietetiche, vestono abiti bianchi, di giorno, e rossi di notte, vietato è il colore nero. Credono nell’immortalità dell’anima e nell’infinita metempsicosi, non credono in un castigo eterno, dopo la morte, onorano Cristo e i dodici apostoli, ma anche Mosè, Osiride, Giove, Mercurio, Maometto. Gli abitanti della Città del sole vivono esclusivamente secondo la ragione e secondo la religione naturale, che è innata e propria dell’uomo che, avendo origine da Dio, tende a ritornarvi. Ed è il Cattolicesimo la religione naturale, cioè conforme a ragione e quindi comune a tutti gli uomini della Terra.


Tutto nella città del sole è accuratamente disciplinato, anche i rapporti sessuali. Vi è un’età minima per procreare: diciannove anni per le donne, ventuno per gli uomini; l’accoppiamento è un vero e proprio rituale che tiene conto anche dell’ora e della posizione degli astri.

Le leggi, scolpite su tavole di rame, impongono una rigorosa condotta di vita, che non ammette eccezioni. Non ci sono carceri, ma solo un torrione dove vengono isolati i «membri infetti» della comunità.

Tutta la vita della città si fonda su una cultura seria, sull’educazione globale e specializzata, sulla coscienza civile dell’impegno, della verità, dell’onestà e dell’amore.

La politica, per Campanella, si deve fondare sulla moralità: concezione totalmente opposta alla realtà dell’epoca storica in cui vive, caratterizzata da epidemie, guerre, violenza, soprusi e angherie. Ma Campanella è per temperamento e vocazione un profeta, convinto della possibilità di realizzare il suo sogno, dopo aver letto e interrogato i cieli. Ecco perché la Città del sole nella sua mente, non è stata concepita come utopia, o almeno non in tutto. Nei fatti, è vero, La città del sole è essenzialmente utopia, ma che ha una tale forza tanto da diventare un’aspirazione, un obiettivo primario in Campanella, fino ad indurlo a rischiare la propria vita sfidando le autorità dell’epoca.

Città utopiche

Una città ideale o utopica è il concetto di un insediamento urbano, progettato o immaginato, il cui disegno urbanistico riflette criteri di razionalità o un'impostazione scientifica, spesso accompagnati a una tensione ideale e filosofica.
Il tema della città ideale, si può dire abbia percorso l'intera storia dell'umanità urbanizzata, fin dall'antichità.
Un esempio di quell'ambizione lo si ritrova nel Libro della Genesi, in cui la metafora biblica della Torre di Babele simboleggia l'aspirazione dell'uomo ad avere uno spazio abitativo la cui struttura rifletta una forte carica utopica e ideale: una tensione che spinge l'uomo a voler acquisire fama toccando il cielo, perseguendo il disegno di tenere unita l'intera Umanità, affinché essa non fosse «dispersa sulla faccia di tutta la terra».
Il fine utopico sotteso all'impresa di Babele è condannato dal libro sacro a un catastrofico insuccesso.
In risposta alla crisi della polis, nel V e IV secolo a.C. di fianco ai progetti razionali dell'aríste politeía, la costituzione perfetta, circolavano fantasie di altro tipo legate al mito dell' età dell'oro. Esse rispondevano a bisogni elementari del luogo pubblico cui erano destinate e alla possibilità di immaginazione di condizioni migliori di vita.
La tendenza all'evasione dal quotidiano si esprimevano in due varianti utopiche: il paese della felicità come paese dell'abbondanza, dell'assenza di lavoro, dell'automatismo al cibo, e la "città ideale" come rovesciamento della città reale.
Giungendo nell'epoca dell'Umanesimo rinascimentale, l'aspirazione a forme urbanistiche ideali va ad alimentare un progetto comune, utopistico e irrealizzabile, in cui architetti e artisti del Rinascimento profusero le loro migliori forze creative dando vita, soprattutto nel XVI secolo, a un appassionato dibattito teorico, foriero però di pochissimi esiti concreti.
La città ideale venne infatti al centro di un intenso dibattito, divenendo uno dei grandi temi su cui puntò l'elaborazione teorica dell'arte e dell'architettura rinascimentale. A quei grandi temi la riflessione sulla città ideale era legata: la rinnovata affermazione della centralità dell'uomo, la riscoperta e la riappropriazione dell'arte greco-romana e dell'architettura classico-romana, l'imitazione della realtà, l'organizzazione prospettica dello spazio artistico, la teoria delle proporzioni e della misura nella progettazione architettonica.
Nel Rinascimento si ha una rinata centralità della città che, a partire dal Quattrocento, riacquista il ruolo di perimetro e crocevia dell'agire dell'uomo. Nello spazio delimitato della 'città' dovevano idealmente convergere aspirazioni ed esigenze diverse, sia funzionali che estetiche, il cui equilibrio fosse espressione della sensibilità della cultura e della società del tempo.
La funzione ideologica della città stimolò nelle signorie cittadine dell'epoca il desiderio di costruirsi delle città ideali, che celebrassero i caratteri «di novità e artificiosità del nuovo regime politico»
Durante la seconda metà del Quattrocento, si registrarono alcuni episodi di realizzazione di spazi urbani in cui l'organizzazione dello spazio si adattava alle esigenze ideali di funzionalità, equilibrio, ordine razionale, con le quali interpretare e tradurre in pratica le «aspirazioni della perfetta ragione politica», e le funzioni imposte dalle aspirazioni signorili: «di rappresentanza (il palazzo), di difesa (le fortificazioni), di residenza (strutture abitative per i nuovi ceti urbani), di spettacolo (il teatro.
Elementi fondamentali per raggiungere tale obbiettivo furono l'apertura di nuove prospettive cittadine con realizzazioni, in forme regolari o rettilinee, di strade, ponti, canali e piazze. La volontà signorile imboccò diverse direzioni, dalla progettazione di nuove città all'ampliamento di quelle esistenti, dall'abbellimento della città medievale fino alla sua trasformazione secondo un ordine diverso.
Non mancarono, a questo proposito, esempi di progettazioni di vere e proprie città militari. Fra queste, un esempio significativo dell'architettura militare adattata alla fortificazione della città può essere la città  stellata e radiocentrica di Palmanova.